venerdì 29 dicembre 2006

La morte di Saddam: un condono per la politica USA in Medio Oriente


Era, Saddam, un tiranno sanguinario, assassino di famigliari e nemici, sterminatore di curdi e persiani, amico e nemico degli Americani. Doveva quindi essere processato. Sin qui l’omaggio doveroso al perbenismo della massa dei media italiani; doverosa per non incappare nella scomunica infamante di filo-terrorista distribuita a mani larghe da Sergio, Paolo, Antonio e gli altri guru della autoreferenziale comunità mass-mediatica che spazza via i fatti con le opinioni.Passiamo dunque al resto.Il presidente Bush ha salutato la conferma della condanna a morte del rais con la stessa stupidità che dimostrò, e lo sappiamo grazie al documentario di Moore, nella scuola elementare in cui lo colse la notizia dell’attentato alle Torri. Troppa fretta, troppo gran senso di liberazione in quella dichiarazione del texano dagli occhi acquosi, che non è il solito rapporto confidenziale con la pena di morte, piuttosto un’esclamazione dell’animo: “…finalmente”.Si. Perché ad usare, invece, il cervello il presidente avrebbe molto da temere, per il popolo americano, dalla martirizzazione di un tiranno, come un pochino di studio della storia e le offerte di aiuto (degli aimici saudiani) ai sunniti iracheni gli avrebbero fatto da tempo capire. Mentre, sul piano personale, le cose sono a dir poco allettanti.Nonostante la pompa del Tribunale speciale, nonostante l’uccisione di tre membri del collegio di difesa del rais, nonostante le pseudopuducizie del presidente iracheno Talabani, il processo ora conclusosi in via definitiva, cosa che per Saddam rende la condanna esecutiva e senza via di scampo (la grazia non è prevista), si uccide il tiranno per bazzecole e con un processo profondamente asimmetrico, non equo ed a finale prestabilito.Ed è questo il punto che fa tirare un sospiro di sollievo a due generazioni di Bush e dei loro consiglieri ed amministratori. Non si faranno i grandi processi per i veri grandi massacri. Sul piano dei grandi numeri si processa Saddam per l’uccisione di pochi attentatori (alla sua persona) e si riseppelliscono centinaia di migliaia di curdi, persiani, kuwaitiani per i quali si pensa, ma sono solo ipotesi naturalmente, che due generazioni di Bush (assieme ai Rumsfield, Cheney ed alla cricca economico militare al governo) abbiano responsabilità pesanti di sterminio; le quali , con la morte del reo ormai improcessabile, mai più verranno ad indagine giudiziaria rimanendo nel limbo della ipocrisia per molto e molto tempo.E’ il frutto del rapporto perverso della corsa alle fonti energetiche che ha, da sempre, regolato i comportamenti, prima coloniali e poi imperiali, delle potenze occidentali nei confronti del resto del mondo ricco, ma tenuto in stato di povertà e sottosviluppo. Petrolio arabo o sudamericano, diamanti ed uranio africani, petrolio ancora in Africa sono il ghiotto boccone che l’unica potenza imperiale rimasta vuole ingoiare senza spartire con alcuno; semmai distribuire ai clientes più devoti.Primazia acquistata in anni di lotte aperte e manovre segrete che hanno armato la mano ora di questo ora di quel cane da guardia che, a delitto commesso, deve sparire come a ogni scomodo testimone è destino nelle lotte criminali.Per questo la fretta di uccidere Saddam, antico alleato ed ora testimone scomodo. Il tutto in un quadro preordinato di menzogne e disinformazione che prima lo isolassero e poi lo rendessero vulnerabile e, con l’aiuto dei media, eliminabile. Un quadro mafioso? Per nulla. Strategia da impero studiata a tavolino da professionisti che attingono ad una collaudatissima fonte : l’espansione dell’impero di Roma del quale hanno evidenziato le conquiste e minimizzato la corruzione dei metodi e la rovinosa caduta. E’ di oggi la notizia che la sentenza di morte –fortemente voluta- sarà eseguita entro il due di gennaio, un regalo a Bush -fatta da un Iraq vendicativo e fantoccio- durante l’insediamento al Congresso della maggioranza che lo ha clamorosamente bocciato e battuto.

martedì 19 dicembre 2006

Una scuola dell’obbligo, statale e per tutti


Grande partecipazione, qualificata ed interessata di operatori, politici e cittadini cui sta a cuore il problema della scuola, questo pomeriggio all’ Hotel Panorama di Cagliari dove si è a lungo dibattuto di obbligo scolastico, di scuola pubblica (statale come hanno puntualizzato molti partecipanti) e luci ed ombre che la finanziaria, appena approvata al Senato, ha proiettato su questa nostra scuola. Grandi assenti i media, che pure erano stati invitati con congruo anticipo –come ha sottolineato, durante il saluto e l’apertura dei lavori, Claudio Giorgi segretario dei Comunisti italiani promotori dell’iniziativa sotto il patrocinio del gruppo consiliare Fas-PdCI della Regione autonoma della Sardegna che era rappresentata dal Consigliere Tore Serra, autore di un lungo e dettagliato rapporto sulla scuola, le prospettive del dopo Lisbona e quelle in Sardegna, e dal presidente della commissione cultura Gian Luigi Gessa farmacologo e autorità internazionale nel campo delle tossicodipendenze.Nella relazione d' apertuta di Daniele Demurtas sono stati introdotti i temi principali che ruotano attorno all’insegnamento pubblico dopo il nubifragio Moratti (o ciclone se vogliamo ascoltare Bergonzi).Perché di un nubifragio si tratta che si è abbattuto su di una scuola già in crisi, inadatta all’evolversi della conoscenza moderna, incapace di trattenere i suoi allievi e di dare sicurezza ai suoi insegnati. Il punto è che occorre portare tutti alla scuola dell’obbligo che questo governo, con una virata significativa estende sino ai sedi anni, obbligo che Demurtas e con lui i successivi oratori vogliono protratta sino ai diciotto. Siamo lontani dalla scuola di classe, in cui solo abbienti (non importa se incapaci) possono andare avanti. Ritorna la richiesta di una scuola gratuita ed obbligatoria che metta a disposizione di tutti i libri, la conoscenza, l’arte ed il pensiero umano. Che fornisca sino ai diciotto anni gli strumenti del sapere e non stronchi all’inizio della giovinezza ogni speranza di istruzione. LA SALAIn questo senso infatti va la “descolarizzazione” dichiarata –di cui parlerà in seguito anche Bergonzi - introdotta dall’ avviamento precoce alle professioni che la Moratti e tutto il governo di centrodestra hanno preteso di introdurre in questo paese discriminando fra chi può studiare perché ha le possibilità economiche di farlo e chi invece è costretto a rinunciare perché fagocitato, per indisponibilità, dal mondo della produzione nel lavoro spesso precario, spesso in nero, molto e troppo spesso senza protezioni normative e di sicurezza.Argomenti che tratta in modo non dissimile un uomo che all’insegnamento ed alla ricerca ha dedicato una vita. Gessa stigmatizza la dispersione, il poco fornito dalla scuola di oggi all’allievo, la necessità di optare ed essere costretti al lavoro invece che allo studio, l’opulenza delle scuole non statali. Su questo discrimine insiste il professore, che separa la “sua” scuola statale ed in linea con l’articolo 34 della Costituzione repubblicana dalla generica scuola pubblica includendosi, in questo termine, ogni tipo di insegnamento aperto al pubblico. Scuola statale dunque, obbligatoria, gratuita e che fornisca a tutti i meritevoli il raggiungimento dei massimi gradi dell’istruzione. Diversamente da oggi, e qui lo studioso è sarcastico, ove per censo si hanno le vocazioni al mestiere o allo studio.Gianna Lai, del cidi (centro di iniziativa democratica degli insegnanti) offre poi una larga panoramica, sugli stessi argomenti, facendo un puntuale raffronto e critica –quando del caso- alle posizioni del ministro Fioroni, ieri a Cagliari, o della vice ministro Bastico (ospite dello stesso CIDI il 4 scorso).Anche qui luci ed ombre e vogliamo ricordare, anche se non eravamo presenti, che molte devono essere state le ombre percepite dalla Lai alla riunione col Ministro.Fioroni, è quel signore, anche se nessuno lo ha citato apertamente, colto in castagna da un giornalista a dichiarare che alla rete internet avrebbe applicato lo stesso comportamento censorio -oggi purtroppo vigente in Cina- non rendendosi conto di avere un sito (immediatamente poi chiuso) in cui era presente il maggior linkaggio pornografico del mondo occidentale.Ma naturalmente non erano questi gli argomenti di Gianna Lai come non lo sono stati quelli di Peppino Loddo intervenuto in rappresentanza della federazione dei lavoratori della conoscenza (flc-CGIL) che si è occupato di scuola come organizzazione e struttura, della necessità di abrogare la legge di riforma del centrodestra, dei tagli in finanziaria e della condizione della scuola sarda che si trova a livelli estremi nella graduatoria dei paesi europei. Il sindacalista Loddo ha affrontato i problemi della istruzione scolastica troppe volte contrapposta e sostituita dalla formazione professionale che in quest’ isola è stata anche e soprattutto spartizione di potere, pubblico denaro sottratto alla scuola statale e suo sleale concorrente. Parole chiare quelle di Loddo che però non sarebbe contrario ad una azione integrativa di questo tipo di para-istruzione in pochi programmati e determinati casi. Argomento che verrà ripreso da Maria Laura Serra insegnate e vicepreside di un istituto che su questo argomento conduce una sperimentazione (che si estende ad oltre trenta scuole) e che naturalmente ha anch’esso, come la finanziaria sempre presente nelle discussioni, luci ed ombre determinate dalla volontà dell’affermazione della scuola di stato in cui si contemperi anche un esperienza professionale (il rapporto temporale è di 5 a 1). Perché la chiusura della “formazione” che si era spinta ad allettare giovani estraniati dal normale percorso fornendo loro anche ed addirittura una licenza di scuola media inferiore problemi ne ha creati. L’asurdo insopportabile era di una scuola di formazione che inizia prima dell’ adempimento dell’obbligo scolastico minimo fornendone però i titoli . Ed il disastro è sotto gli occhi di chiunque abbia avuto contatti con questi studenti-apprendisti che rimangono a mezzo: senza istruzione e senza mestiere. Però con un pezzo di carta; che poi non servirà nemmeno all’ingresso nel precariato .Problema, questo, immenso affrontato dalla referente del comitato insegnanti precari (CIP) di Cagliari Maristella Curreli. Ci si è così introdotti in questo fluido mondo di insegnanti, laureati, preparati, vincitori di concorso ed abilitati che percorrono, taluni da venti anni, una strada infernale lastricata di apprensioni, incertezze, sedi disagiate ed insicurezza del futuro. Un mondo che dà molto alla scuola, ma che la scuola tiene in bilico, licenzia ed assume, a giugno e settembre, creando persone umane insoddisfatte vessate, sfruttate.Il problema dell’istruzione tecnica viene affrontato, in un breve, apprezzato e lucido intervento di Francesco Podda che esamina casistiche e soluzioni tecniche di una scuola che è stata stravolta e rimane in attesa di una risistemazione di programmi (e dell’ordinamento) che superi i vecchi concetti dell’istruzione a due binari : classica e tecnica perché il sapere è unico ed il progresso è si conoscenza tecnica, ma anche pensiero, evoluzione, meditazione e ricerca in cui tutto è indistinto ma ha necessità, prima della differenziazione, di basi solide, condivise, universali. A Piergiorgio Bergonzi, già senatore della repubblica, grande esperto di scuola di cui è il responsabile nazionale dei Comunisti Italiani, spetta il compito di tirare le fila del discorso e di fornire un quadro attuale ed in rapporto alla finanziaria in corso.Nel discorso di Bergonzi, che fra l’altro vediamo sinceramente impressionato per l’alto livello raggiunto nella discussione, assume pieno valore il significato di luci ed ombre fin qui più volte usato.Luci ed ombre che si proiettano sulla scuola per l’azione passata e per il poco ancor oggi previsto. Parafrasando l’uticense, Bergonzi inizia con un: “La legge Moratti deve essere abrogata” per poi passare subito alle luci della finanziaria .Le luci stanno, per prima cosa, in un segnale; il segnale della inversione di tendenza dato da questo governo ed al quale i Comunisti Italiani hanno prestato grande voce è che la scuola ridiventa obbligatoria, anche se solo sino ai sedici anni -per ora-, e che è per tutti. Un sospiro di sollievo perché non era scontato dal momento che a parere dei Comunisti Italiani sussistono troppe reticenze all’abrogazione del nubifragio e questo modello chiamato del cacciavite non ci soddisfa. Prendiamo invece atto che è stata recepita la nostra proposta contro il precariato, insiste Bergonzi, e che l’innalzamento dell’obbligo non è più un optional, ma un impegno di governo. Segno altamente positivo è anche un altro provvedimento caro al PdCI che è stato fra i primi atti compiuti; vale a dire la riforma dell’esame di maturità che con il centro destra era diventato “deflagrante e distruttivo” una “potentissima bomba, il fenomeno della “compravendita” dell’esame di maturità, del titolo di studio che esso assicura. Un fenomeno vergognoso e immorale che, se non immediatamente estirpato, rischia di compromettere definitivamente ogni credibilità non solo dell’esame di maturità ma dell’intera scuola italiana”. Così si esprimeva e si esprime Bergonzi che vede, insieme a tutti noi, quale segnale abbia dato il governo contro la bassezza ed il mercimonio della cultura introdotto dal precedente governo. E va avanti con un’analisi puntuale della scuola e dei provvedimenti in finanziaria, dei sogni, ma anche della proposte dei Comunisti Italiani che vedono –alla fine- uno spiraglio di riscossa e di rivalutazione della Scuola.Anche se non pronunciate aleggiano le parole con le quali Elio Vittoriani rispondeva, nell’ottobre del 1945, a Concetto Marchesi: “Sul terreno della scuola il problema fondamentale, anzi essenziale, non può essere altro che quello di fornire a tutti i mezzi della conoscenza, e rendere tutti armati, attrezzati, preparati nello stesso modo per accostarsi ai libri e alle opere d'arte, e partecipare alle ricerche della cultura. Anche nel promuovere le riforme più provvisorie non si può non tenerlo presente. Perché anche la più provvisoria riforma non dovrà essere rinnegata o smentita nel suo spirito dalle riforme che i tempi renderanno attuabili in seguito”.

mercoledì 13 dicembre 2006

Chi piange per i tiranni ?



Marcello Veneziani rimpiange che non si sia versata una lacrima per la morte di Pinochet e ne chiede conto alla Democrazia occidentale. Guarda caso proprio a quella che dovrebbe esportare la “democrazia” che Pinochet aveva distrutto.
Abbiamo avuto un senso di sgomento, oltre che ripulsa, leggendo le argomentazioni che l’intellettuale Marcello Veneziani affida alla stampa il 12 dicembre 2006.Sensazioni a pelle, forse, perché ci avevano educato ad altri valori. Qui non si tratta del tiranno che l’antica Grecia potenzialmente riconosceva come rappresentante dell’oligarchia estrema -ed infatti Dioniso allevava Archimede contro il barbaro romano-. Qui si tratta del tiranno moderno, la degenerazione della democrazia e dello stato di diritto.Fa specie che un sostenitore del law and order lamenti il legittimo senso di liberazione che, umanamente, ha percorso cittadini e cancellerie –non solo occidentali- per la scomparsa del dittatore. Perché questo fu Pinochet per un Cile che liberamente e democraticamente aveva scelto Allende quale suo rappresentante. Anche la Democrazia Cristiana cilena – allora molto vicina a quella italiana- aveva concordato che Allende fosse la soluzione.Di cosa? Di un esperimento che la scuola economica statunitense si era riservata di testare in un paese di democrazia debole, neonata, ma di grandi possibilità economiche.La scuola americana, e sarebbe bene non dimenticarlo mai, dopo il nazionalismo del tiranno che accettava ma non restituiva, riprese gli stessi esperimenti economici in Argentina con le conseguenze che sono note.Ma torniamo alle tesi di Veneziani.Sebbene tiranno, Pinochet fu il salvatore del Cile. Perché è vero che fu dittatore –e fra i più feroci a stare dalle prove di sevizie, sparizioni, uccisioni, ricatti e uccisioni dopo torture estreme- ma intervenne per salvare un paese in ginocchio, percorso da bande armate, in balia del comunismo.Il comunismo, allora per gli USA di Pinochet come oggi per i Veneziani di Guzzanti-Scaramella è la chiave di volta di ogni giustificazione a qualunque bruttura.La situazione reale del Cile –col secondo governo Allende- era tutt’altra cosa.Vi operavano tanto i partiti della Sinistra (comunisti, socialisti, socialisti estremi) e la Democrazia Cristiana . Democristiani che avevano confidenza -con quelli italiani- superiore a quella che Allende non avesse coll’URSS (casomai le frange estremiste stavano fra i socialisti).Ma cosa dimentica Veneziani? O meglio come Veneziani opera una revisione della storia cilena? Innanzitutto con la stessa giustificazione, concettuale, con cui i repubblichini sono uguali ai resistenti antinazisti ed antifascisti.Pinochet tolse la libertà, col massacro del Palazzo "de la Moneda", ma assicurò la pace sociale. Strana ed assurda giustificazione, peraltro non vera, per cui i diritti fondamentali sono barattabili con un tozzo di pane o con…una tonnellata di rame.Perché di questo si tratta.A parte il fatto che Veneziani gioca sporco anche sul piano politico rivoluzionario, ma su questo torneremo, esaminiamo cosa successe allora in Cile che sia diverso da quanto accadeva in Europa nello stesso periodo o quanto era accaduto nella stessa Italia con la nazionalizzazione della energia elettrica. Allende allora, come ora Chàvez e gli altri eletti in America del sud , voleva risollevare il proprio paese dal giogo di sfruttamento medievale che alcune multinazionali avevano imposto ai poveri dell’America del Sud. Allora un piccolo tentativo sul rame, oggi le grandi nazionalizzazioni del petrolio. Tupamaros, montoneros e senderisti che c’entrano col Cile della nazionalizzazione? E’ un miscuglio infame di richiami perché emozionale e slegato dalle tre realtà in cui nacquero quei movimenti. Sendero Luminoso inoltre andò al governo e ci è tornato a furor di popolo ed il Che liberò Cuba dalla mafia e dalla corruzione.Ma a destra questi argomenti sono bestemmie; e mentre in Italia, patria della “incertezza della pena”, essa auspica “la prigione per 21 spinelli” esecra –contestualmente- i paesi dove truffatori e riciclatori vanno in galera (certa) non diversamente di un Al Capone inquisito e condannato, nei decantati USA, con leggi e provvedimenti analoghi.Per questo azzardiamo l’ipotesi di comportamento bipolare (nel senso di schizofrenico, non politico) per cui si vorrebbe piangere il tiranno sanguinario ed esecrare l’uomo normale.Che Friedman, la politica di Reagan e anche di Kissinger, per non parlare delle manovre di CIA e AT&T -così non si scorda alcuno-, abbiano salvato il Cile o l’America del Sud è poi una bugia che sta ancor oggi davanti agli occhi di decine di migliaia di risparmiatori italiani illusi dal monetarismo che ha distrutto anche l’Argentina e la sua economia.Che poi Pinochet sia stato cacciato da libere elezioni non è un suo merito, come vorrebbe farci credere Veneziani, ma la conseguenza del suo sanguinario governo una volta maturati i tempi del tramonto di quella dittatura.Che poi lo stadio “dei desparecidos” cileni fosse un poco meno infernale del “Garage Olimpo” della dittatura argentina con molta riluttanza potremmo anche discuterlo, ma che siano rientrati –nel dopo Pinochet- molti più cileni di quanti ne fossero “andati via” è una bestemmia perché, di solito, i morti non tornano.Non vorremmo che l’impunità che l’occidente ha concesso a Pinochet, come d’altro canto ha fatto il Cile che paventava –in caso di condanna- la possibilità del ritorno di una ulteriore sanguinosa guerra civile (terrore di ogni debole democrazia), facesse davvero credere che si debba piangere Pinochet.Né il Dio degli ebrei né i grandi tragedi greci piangevano per i tiranni e nemmeno, e per fortuna, la civiltà occidentale nata dalle grandi rivoluzioni del XVIII secolo.A quando, di grazia, un pianto per il Terzo Reich?

domenica 3 dicembre 2006

Il principio di legalità e lo stato di diritto vanno sempre più affievolendosi. La protervia dell’attacco alla magistratura, definita rossa perché persegue, e solo se persegue, facoltosi imbroglioni ha attenuato e sta distruggendo il principio di legalità. La criminalità generale è in aumento; quella organizzata prospera nel silenzio dello Stato, le forze dell’ordine sono mandate allo sbaraglio con mezzi insufficienti e professionalità non adeguata. Il taglio agli stanziamenti, l’attacco alle leggi esistenti ed ai diritti costituzionali, la protervia contro gli indaganti accusati d’ideologismo ed odio verso i governanti, sono elementi che attenuano la forza dello stato di diritto ed inculcano elementi diffusi di rifiuto dell’autorità legittima e legale. Si attaccano pentiti ed intercettazioni telefoniche solo se colpiscono appartenenti al ceto dominante; si impedisce a giudici onesti di ricoprire funzioni per le quali hanno massima professionalità, si porta il paese al di fuori del controllo di legalità. La cosiddetta legge Castelli deve essere abrogata per sostituirla con una elaborata con la collaborazione della magistratura per la riforma del suo stesso funzionamento. Denunciamo lo sconvolgimento costituzionale che depotenzia lo strumento di autogoverno della magistratura tentando di sottoporne l’azione inquirente al potere esecutivo. Siamo contrari a tutta l’attuale politica giudiziaria perché essa è parte della rivoluzione della classe dominante contro il popolo sovrano.

Libera informazione


Cose rare in Italia: i diritti umani

di Vincenzo A. Romano


Una grande battaglia è in corso nel mondo. Inesorabilmente, da ormai troppo tempo, riassistiamo ad un fenomeno agghiacciante di supremazia di pochi stati e pochi uomini.
Prevaricano diritti ormai acquisiti, già dal 1789 sino a pochi anni or sono, tentano di affermare un’egemonia integralista in campo politico, militare, religioso, economico che spinge verso la privazione dei fondamentali diritti miliardi di cittadini inermi in presenza dell’assalto di una ideologia egemone e dei suoi mentori. I patti, le Costituzioni degli stati sovrani, la stessa ONU vengono attaccati, distorti, reinterpretati in nome del liberismo sfrenato, dell’ integralismo religioso, del conservatorismo estremo che tentano di portare le popolazioni e gli stati a sudditanza sociale, economica, religiosa. La caduta del comunismo e dei socialismi, che costituivano l’unico baluardo alla bramosia di potenza e sopraffazione di pochi nei confronti del resto del mondo, ha aperto una regressione dei diritti di stati e persone a così bassi livelli da essere insopportabili e disumani. La forza delle armi e del ricatto economico, unite alla collusione e strapotere di pochi, sta distorcendo un mondo che dopo la seconda guerra mondiale si era aperto alla democrazia ed ai diritti universali ed universalmente riconosciuti. Da più parti, e non da oggi, si sente nuovamente bisogno di libertà e ci si batte, ancora una volta, per la riconquista dei molti diritti perduti. Perché vengono attaccati i principi costituzionali in nome di esigenze di sicurezza che solo in parte dipendono dal terrorismo integralista a sua volta spesso generato da atti di antica e recente sopraffazione. Si sta attentando, in Italia come in molti paesi, alla privatezza della persona, della famiglia, dell’immagine, dell’agire quotidiano, del muoversi all’interno del proprio paese in un artificiale clima di paura. Nel frattempo aziende nazionali e multinazionali si impinguano con la diffusione di apparati per la sicurezza sempre più sofisticati, costosi e per lo più inutili ed i fabbricanti di armamenti rapinano ancora maggior profitto. Con il senso di insicurezza, artatamente gonfiato ed opportunamente inculcato, si portano i cittadini ad accettare norme sempre più restrittive e cogenti mentre i governanti accrescono il loro potere sulle popolazioni disorientate e premono sui diritti del lavoro,della salute e delle libertà civili. La conoscenza ridiventa un pericolo e scuole, informazione e cultura vengono controllate, manomesse e asservite. La Costituzione e le leggi creano impaccio. Si tenta, allora, di depotenziare la prima e di cambiare le altre convergendo, di pari passo, all’ asservimento dei magistrati e degli organi giurisdizionali. Le nuove forze lavoro provenienti da paesi lontani vengono criminalizzate invece che organizzate, deluse, sopraffatte, scacciate in nome di un falso credo religioso o di una supremazia culturale; in effetti perché si ha paura, profonda, che possano divenire i protagoniste di una nuova rivoluzione. L’insicurezza del Potere e la spinta al Profitto confliggono con se stesse creando una situazione mondiale di sospetto, squilibrio, voglia di egemonia e terrore di distruzione. Infernale marchingegno sostenuto da una classe intellettuale, una volta liberista o marxista, ed ora catechizzata al credo che il mondo debba essere “democratico” e “capitalista” a costo di ficcarglielo in testa con le cannoniere; sono, purtroppo gli stessi decotti e riciclati maitres a penser che si affannano a tacciare la Costituzione repubblicana di vecchio e le leggi in favore del lavoro e dei diritti fondamentali di sorpassate.. Dopo la vituperata legge sulla procreazione assistita che ha fatto strame principalmente delle donne oggi si paventa il ritorno in parlamento di due ulteriori obbrobri che chiamano riformulazione dell’aborto e revisione costituzionale. Si tratta di un altro massiccio attacco ai diritti dei cittadini. Il lavoro, già distrutto nella sua sacrosanta sicurezza dalla legge 30, subisce dalla revisione un ulteriore attacco nelle sue componenti principali come l’assistenza: riformata, e la salute: parcellizzata. La scuola uscirà ulteriormente sconvolta, oltre che dalla legge Moratti, dall’ eccessiva regionalizzazione. Il rapporto economico interregionale diverrà competitivo, con le conseguenze connesse, per l’ assistenza sociale, per quella medica, per la scuola e gli asili; per le finanze non più perequate; per gli investimenti che saranno pilotati verso le regioni più ricche. Un federalismo rovesciato che sarà disumano perché chi è ricco lo diverrà ancora di più e chi è indifeso lo sarà maggiormente; i diritti non saranno uguali per tutti, ma chi più ha più avrà. Già oggi dopo appena quattro anni di politica liberista vediamo i segni premonitori (se non avverrà il cambiamento su cui contiamo) di quanta distruzione sociale e nel campo dei diritti incombe. Le donne ne sono il segno più evidente. In ossequio ad un credo religioso, per cui la sofferenza è un bene, se n’è violata la libertà alla maternità felice, ma si fanno tagli sulla scuola, sugli asili, sui nidi d’infanzia, che pure timidamente nascevano in qualche regione; gli ospedali sono colpiti dalla crisi economica che si abbatte, le case sempre più care, il cibo, i servizi tutti sempre più inavvicinabili. Non si può trarre conforto da figli precari o disoccupati, da scuole malfunzionanti, dal rincaro delle spese o dalle difficoltà a combinare il pranzo con la cena. Vecchi senza assistenza, servizi sociali assenti, forze dell’ordine inchiodate in caserme e commissariati per mancanza di mezzi; soldati catapultati in missioni di pace dove vige,però, il codice di guerra sono tutti il quadro desolante davanti ai nostri occhi. Questo sono i diritti in Italia, mentre l’integralismo religioso, economico e politico alimenta i nostri governanti ed i loro opinionisti giulivi.