mercoledì 27 giugno 2007

Il Presidente non è Ponzio Pilato



Spartacus

Il presidente Giorgio napolitano Siamo rimasti sconcertati dal contenuto afferente ad un titolo invitante visto ieri su un quotidiano sardo che a Cagliari viene dato in omaggio dopo una decisione giudiziaria. Il coraggioso, ma improprio, titolo recitava “Ponzio Pilato è ancora fra noi” ed un’occhiello –mirato- anticipava lo schieramento dell’intervento che riprendeva un argomento già oggetto d’interesse di questo blog: il generale di CdA E.I Speciale. L’autore, operando una “macedonia” costituzionale ed istituzionale frammischiava funzioni e sorti di un Presidente del consiglio con l’autonomia di un viceministro con delega e la funzione del Capo dello Stato, rappresentante dell’unità nazionale, con quelle di dittatorello di quarto ordine “capo assoluto delle forze armate”.
Il tutto condito dall’insolenza di accusare il nostro Presidente di non conoscere affatto la Costituzione, o forse- in considerazione dell’età- di non ricordarla più a memoria. Nihil novi sub sole, si diceva quando si studiava di più e si cazzeggiava di meno, ma tant’è, l’articolo 21 consente questo ed altro.
Quello che lascia perplessi è il fatto che, avendo noi reagito all’insulto ed avendo interessato il quotidiano ed un suo giornalista per la pubblicazione di una sorta di smentita (a meno che il giornale non se l’ aspetti dal Quirinale, ma sarebbe troppo) con fax ed e-mail urgenti ed a giro di posta, il quotidiano non abbia sentito il dovere di puntualizzare che la Costituzione ed il signor Loi avevano ed hanno ben pochi punti di convergenza.
Dicevamo infatti:
“Alla redazione de il SARDEGNA -fax. 070 6650210
To: lettori@gds.sm
Sent: Monday, June 25, 2007 12:58 PM
Subject: Non Ponzio Pilato, ma custode della Costituzione
Carissimi,
vorrei fare, col vostro aiuto, una precisazione che smentisca le accuse al Presidente della Repubblica
Non Ponzio Pilato, ma custode della Costituzione
Non ce ne voglia il signor Egidio Loi di Villaputzu, ma ci pare faccia una leggera confusione a proposito della Guardia di finanza e del Capo dello Stato come “comandante assoluto delle forze armate”. Lo rimandiamo –per quest’ultima parte- all’art.87 della Costituzione il cui studio approfondito lo renderebbe conscio che detto comando è meramente formale al contrario di quello di Presidente del Consiglio Supremo di Difesa al quale però il Comandante della guardia di Finanza non è ammesso (né invitato a differenza dei CC.S.M), mentre vi partecipa, di diritto, il suo superiore diretto che è il Ministro del tesoro e dell’economia.
Il comandante della GdF, di nomina politica, proviene dai generali di corpo d’armata dell’ E.I. , ed è revocabile dal Ministro del tesoro e dell’Economia o da chi per lui ne ha la delega.
Bene ha fatto quindi il presidente Napolitano a non interferire con l’azione di Governo, al quale è affidata de facto, anche la vera e propria gestione dello stato di guerra (o delle missioni militari) che il Presidente della Repubblica dichiara “dopo” l’approvazione delle Camere.
La guardia di Finanza, pur sottoposta al regolamento di disciplina militare, è di fatto un organo di polizia come si recita sul suo sito stesso vale a dire: la missione della Guardia di Finanza è Forza di polizia a competenza generale su tutta la materia economica e finanziaria.
Ci viene il sospetto che l’inconsulto peana per Speciale, sia solo uno “speciale” attacco al Presidente Napolitano, che non è Ponzio Pilato, ma ancora una volta Garante della Costituzione che conosce meglio di tanti altri.
Vincenzo A. Romano
070497605”
Ma al giornale, forse erano ancora sotto lo stupore di quanto in Italia contino le Sette sataniche. Ad Meliora.

martedì 19 giugno 2007

Libertà vo' cercando...


Quando la libertà d’informazione diventa un optional del Potere
Il Censore
Le trascrizioni delle telefonate di D’Alema seguite quasi a ruota dalle confessioni di Ricucci su Berlusconi hanno fatto gridare da entrambe le parti, e ciascuna per la propria, al complotto. Complotto contro la politica, non i politicanti, si badi bene, e ciascuno per se’ in una nuova “bicamerale antigiornalistica” perché a pagare hanno da essere non coloro che si trovano –per assolutissimi meriti propri- al centro di vicende a dir poco non cristalline; no a pagare devono essere quelli che riferiscono i fatti.
Perché si tratta di fatti anche se per esemplificazione “il Giornale” (di famiglia) aveva aggiunto ai fatti parecchi carichi da novanta fra illazioni, commenti e sberleffi.
Tutto il centro destra ha crocifisso D’Alema e Fassino con un Consorte in secondo piano e, per soprammercato ci ha infilato Prodi che’ tanto non guasta.
L’obiettivo della reazione dei DS questa volta, immemori di avere molti magistrati nelle loro fila, sono stati anche i magistrati oltre –naturalmente- i giornali e comunque tutti i mass-media nelle loro varie e molteplici articolazioni.
Non era finita la bufera anti-DS che ti appare Ricucci, il redivivo, a sparare contro il cavaliere che sarebbe stato regista od informato di varie “cosette” dello stesso Ricucci ed addirittura partecipe attivo della scalata alla Rizzoli-Corriere della Sera.
La sinistra tira un sospiro di sollievo mentre obici e batterie del centro destra, fatta l’inversione a centottanta gradi, sparano bordate sul fellone e sulla stampa complottarda.
Risultato: Mastella ed i mastelliani (leggi tutti coloro cui l’ informazione sta come fumo negli occhi) si mettono di lena ad accelerare la legge bavaglio.
Un poco il ripetersi della favola del Lupo e l’ Agnello: c’è chi sta sopra ed è prepotente ed infingardo e c’è chi sta sotto.
Ci sarà sempre qualcuno che riuscirà a dire che l’acqua sporca non scende dall’alto verso il basso, ma risale: come i salmoni in amore.
E’ lo sport preferito del potere. Nascondere marachelle ed incapacità proprie o sotto un complotto della magistratura o fra quei nuovi anarchici che sono i giornalisti, meglio se indipendenti.
A tutti i livelli si ricorre alla tesi del complotto.
“Dici questo non perchè sia vero, ma perché sei mio nemico”.
Le tesi di Carl Schmitt sulla teoria dell amico/nemico si dimostrano, in tempi di insofferenza democratica buoni anche per mantenere sano ed intatto il loro “volksgeist” o spirito del popolo di cui essi, naturalmente e perché eletti si sentono gli unici interpreti..
E la coscienza si mette in pace. Il potere continua a tessere reti a bavagli, accende processi i cui imputati non sono ladri, corrotti e faccendieri o funzionari incapaci, ma coloro che queste “marachelle” le mettono in piazza. Perché in Italia si sa, ma non si dice. Come quella canzoncina che andava di moda nel passato ventennio.

sabato 9 giugno 2007

Romano Prodi : tiro al piccione

Da Confindustria a Rutelli e fette dei DS
Perchè Romano dà fastidio ai poteri forti?
Vincenzo A. Romano
L’ultima sparata contro il Governo di cui fa parte è del bel tenebroso Rutelli che, dopo avere gigioneggiato l’altra sera a Ballarò, mentre avrebbe dovuto difendere perinde ac cadaver il governo di cui fa parte, non si perita, al contrario, di attaccarlo ogni giorno come nell’uscita fatta ieri contro il provvedimento riguardante gli accertamenti per area di settore, altro passo verso una equità fiscale, lotta all’evasione e possibilità di una conseguente distribuzione del reddito.
Cicciobbello sapeva, o almeno avrebbe dovuto sapere, che un tale tipo di indagine fiscale non è obbligatoria in quanto chi non vi aderisce continua per la sua strada ed è soggetto (sarebbe meglio dire probabilmente soggetto vista l’esiguità dei controllori) ai normali accertamenti cui sono esposti tutti i cittadini compresi quelli a reddito fisso, ma evidentemente doveva raggiungere due scopi.
Farsi bello di fronte ai commercianti e piccoli industriali del nord che comunque non lo voteranno mai perché –nel caso- tornerebbero a votare i partiti veramente vicini alla vecchia DC.
Dare un’altra spallata a Prodi non si sa, a questo punto, se perché speri di diventare il capo del fantomatico PD prossimo (s)venturo oppure perché sia davvero allettato dall’idea di un governissimo con Casini e tutti i rimanenti brandelli del Centrodestra -che ci stessero- in modo da aprirsi la strada di Palazzo Chigi.
Assistiamo, da Montezemolo a Berlusconi, passando per tutti i gradi istituzionali ed extra istituzionali ad un tiro al piccione che ha come bersaglio Prodi e ci azzardiamo a dare alcune risposte.
In questo governo, come in quello inopinatamente e disgraziatamente fatto cadere da Bertinotti, Romano Prodi è l’unica persona che sia contemporaneamente: politico, economista e servitore dello stato.
E’ quello che noi chiamiamo “l’unico presidente del consiglio possibile in questa indescrivibile situazione”.
Che sia un politico non è messo in discussione perché ha dimostrato di avere assimilato la lezione classica secondo la quale “la politica non è una guerra fra nemici, ma un orizzonte in cui le società si devono misurare accettando un confronto che ha per posta lo sviluppo”.
Lo ha fatto nel precedente governo (che ai Comunisti è costato una scissione), lo ha fatto in Europa da Commissario in un momento delicatissimo che ha visto l’11 settembre e l’ autoisolamento Americano contemporaneamente all’allargamento dell’Unione.
Lo sta facendo adesso temperando il rigido liberalismo di Padoa Schioppa con le sacrosante richieste di un paziente Diliberto. Che sia un economista –fra l’ altro vicino alla piccola impresa di cui fu teorico ed artefice durante la crescita dell’economia- ce lo dimostra cercando di riportare a galla un poco di sana economia keynesiana tesa allo sviluppo nella massima occupazione dopo i bagordi dell’ iper-liberismo berlusconiano ed i conti truccati di Tremonti.
Ce lo conferma –e per questo è continuo bersaglio di Confindustria e dei poteri forti in genere- cercando di riportare un poco di Stato in una economia corrotta da finanzieri ladri , dalle false liberalizzazioni e dalle privatizzazioni indecenti. Cercando di accorpare banche da una parte e sguinzagliando dall’altra Bersani perché le inglobi in regole certe. Utilizzando Di Pietro come una sferza contro gli appalti allegri e cercando vie diverse per realizzare grandi opere contestatissime, talvolta a priori, da ecologisti di professione ed ascoltando di contro quelli che hanno veramente interesse ad uno sviluppo compatibile.
Che sia un servitore dello stato, del tipo di quelli che la Francia si crea con apposite scuole, pare sia di evidenza indiscutibile se proprio i nemici acerrimi lo chiamano con un epiteto che altrove è vanto ed in Italia scherno: grand commis.
Può un uomo del genere, amato come un parroco di campagna e che si è preso da solo quattro milioni di voti alle primarie, piacere a politici ignoranti e posticci ed industriali arruffoni?
Certamente no.
Perché tenta di mettere ordine, come un buon padre di famiglia, in una famiglia sgangherata, sguaiata e piena di debiti che non vuole rinunciare al tenore di vita fasullo che si era creata.
Noi questo lo abbiamo capito ed è per questo che non si tira la corda, ma si discute, si chiede e si rinuncia, si richiede e si ottiene una parte, si fa politica compatibilmente coi pochi stracci che sono rimasti dopo che la destra si è venduta i gioielli di famiglia ed indebitata sino allo stremo.
Ma gente come Rutelli pare non capire, e forse non capisce, tutto questo perché magari dopodomani se non domani è pronta a fare il grande centro dove tutti rimangono a galla e chi non ce la fa si fotta.
Berlusconi dal canto suo fa il suo mestiere; è vecchio e teme che gli scappi l’ultima occasione. Altro che Vittoria Brambilla il posto non lo molla ed ieri lo ha confermato rimproverando Casini (tornato agli equilibrismi della Balena Bianca) di non stargli appresso.
Montezemolo deve, per compito istituzionale, chiedere e richiedere qualunque sia il governo ed almeno non lo fa con la protervia che usava Costa. I rappresentanti degli industriali –piccoli o grandi che siano- chiedono perché sono abituati a farlo.
I sindacati ed i pochi partiti ancora seri: contrattano come dovrebbero fare tutti.
Ma è più facile fare il tiro al piccione; qualche volta si fa centro e comunque si rimane a galla anche alla presidenza di un partito che manda le proprie tessere a casa, anche a chi è iscritto ai Comunisti Italiani.

mercoledì 6 giugno 2007

Amministrative di Primavera :un giudizio politico

Generalità
Va posto in premessa che quanto verificatosi nei comuni ( e province) interessati in campo nazionale ha varie cause di attribuzione che non differiscono molto da quanto è accaduto nell’Isola come conseguenza del comportamento generale delle forze di governo nazionale cui aggiungiamo il messaggio fortemente in chiave “anticomunista” gestito (ossessivamente, ma con frasi “date per certe” -quasi dati di fatto- (le cose vanno male per la cattiva influenza dei comunisti al governo) dall’opposizione e dalla insofferenza verso la “sinistra radicale” che è stata portata anche all’interno della coalizione di maggioranza; dal potere confindustriale (comunisti per la statalizzazione e contro il mercato libero) ; dal potere della gerarchia ecclesiastica (la sinistra radicale sfascia la famiglia) tutto questo con il contorno dei mezzi di comunicazione di massa.
Fattori decisivi risultano:

  1. Aumento , e comunque sensazione diffusa, di prelievo fiscale ed aumento delle tariffe;
  2. Indecisione del governo in favore delle classi meno agiate, o contrarietà a diminuire il disagio;
  3. Scalone pensionistico ed attacco alle pensioni;
  4. Mancanza di ricadute apprezzabili sulle famiglie;
  5. Rinnovo rimandato dei contratti;
  6. Cuneo fiscale a favore della industria;
  7. Trattamento del TFR presentato male, percepito come “rapina ed insicurezza per il futuro”;
  8. Vasta “illegalità diffusa”
  9. Insicurezza sociale

I motivi di mancata risposta nell’Isola

  1. Organizzativi in quanto vaste zone , anche se piccoli paesi, sono state trascurate sino all’assurdo della non presentazione di lista (nemmeno con altre forze di sinistra o IDV) nella città di Olbia. La convinzione che la città sarebbe comunque andata al centrodestra non è motivo per il disimpegno totale.
  2. La mancanza di una struttura di quadri dirigenti ed intermedi, coesi nella disciplina di partito, preparati sotto il punto di vista del coordinamento e dottrinale , ma l’esistenza di una serie di strutture provinciali in competizione o disinteressate alla interconnessione hanno pesato su tutta la macchina organizzativa che non è partita come tale, ma è rimasta frammentata, inoperosa, impreparata.
  3. Congressi federali autonomi, privi di dialogo fra gli stessi, monadi inaccessibili ed impermeabili non hanno favorito la discussione del problema dell’Isola nel suo complesso, ma si sono presentati come tessere separate di un mosaico privo di disegno.
  4. Litigiosità o desiderio di supremazia di talune sezioni hanno portato disorganizzazione all’interno di una stessa organizzazione provinciale.
  5. La neonata federazione di Gallura è rimasta, per l’impossibilità di uno sviluppo adeguato, quasi inoperosa sotto il profilo della propaganda e dell’organizzazione.
  6. La federazione di Cagliari, sottoposta ad eccessiva pressione e intenta alla propria organizzazione (non si parla nemmeno di riorganizzazione) ha potuto agire al 25 % delle proprie potenzialità, con scarsi mezzi, e si è ripresa solo dopo il congresso senza raggiungere tutta l’efficienza che si era proposta e che è stata raggiunta peraltro solo dopo i Congressi Regionale e nazionale. Quattro cinque persone hanno provveduto alla vera organizzazione con insufficienza di mezzi, finanziamenti e materiale di propaganda di alto impatto, ma ha raggiunto –al confronto- risultati validi (Selargius per esempio 2% con + 0.4% e senza IDV che da sola ha raggiunto il 2,6%).
  7. La vicenda della Federazione di Oristano (un triplo cambio in pochi mesi) ha portato ad una perdita secca che al momento si valuta di circa – 0,6% rispetto al basso livello del 2002 {era lo 0.8% oggi è lo 0.2%} ed impronunciabile rispetto alle politiche.
  8. Niente si può dire delle altre organizzazioni provinciali per mancanza di informazioni. Un caso ancora particolare è quello costituito dalla Federazione di Sassari, neonata, ma che aveva il pur grosso impegno di Alghero che pure, aveva raggiunto –con la coalizione PRC-PDCI- un 30 % di apprezzamento nelle primarie (seppure della sola Unione) che avrebbe fatto sperare ancora di più sebbene un incremento dello 0.3 % sia stato egualmente raggiunto.
  1. Dirigenziali
  2. Mancando un vero potere decisionale della Commissione regionale, la cui segreteria è stata via via cooptata a seconda delle esigenze organizzative del caso per caso è mancata la stesura di una direttiva politica comune per cui il documento Congressuale ha fotografato l’esistente senza potere dare (ricordiamo gli affanni pre-congressuali e congressuali) una linea politica forte unitaria condivisa e tecnicamente articolata per materie di interesse, azione, proposta e programmazione.
  3. Sono mancati quadri validi a tutti i livelli : sezione, federazione e FGCI. La loro mancante, o scarsa, preparazione tecnico-politico-organizzativa si è ripercossa negativamente sugli iscritti che hanno agito sotto la spinta di singole persone, dirigenti ed anche simpatizzanti.
  4. La formazione politica specialistica è assente.
  5. Vi supplisce –anche se in contrasto con le direttive nazionali- la partecipazione e buona volontà di quadri intermedi provenienti dal sindacato, volenterosi , ma che applicano quella visione, quelle metodologie, quella impalcatura intellettuale.
  6. La formazione politica dei giovani è inesistente, quella degli intermedi soffre, nel migliore dei casi, di analfabetismo di ritorno.
  1. Politici e rappresentanti istituzionali di livello nazionale (Parlamentari, sottosegretari, tecnici d’area)
  2. Sono mancati nel momento cruciale sia come “autorità”, sia come “preparazione e competenza” sia come “stimolo di galvanizzazione e cattura del consenso”.
  3. La penuria di fondi, almeno in qualche sezione (ricordiamo che in 4 comuni della Federazione di Cagliari si è andati al voto senza una sezione locale e/o un radicamento nel territorio), ha reso nulla la propaganda di massa (furgoni con manifesti che circolassero nei paesi), scarsa quella dell’ attacchinaggio, affidata alla buona volontà dei singoli quella della preparazione di incontri, manifestini, volantinaggio.
  1. Conclusioni
    1. Lo scollamento generale di cui sopra, la mancanza di un gruppo dirigente aperto a tutti, l’assenza di politici nazionali, il fatto di avere trascurato molti paesi e paesetti (nei quali si è dunque rimandato il radicamento o la stessa creazione di un “referente” ) sono tutte azioni (o non azioni) che hanno impedito che il Partito si mostrasse, uscisse per le strade, si facesse conoscere fra il pubblico, i lavoratori, i pensionati ed i giovani, precari, in nero o disoccupati.
    1. Un ripensamento di tutta l’ organizzazione è indispensabile (la provincia di Cagliari si è comunque dotata di un progetto e di un nocciolo direttivo che procederà a ripensare la politica –a livello provinciale- del territorio), ma essa manca di mezzi, di personale politicamente e tecnicamente qualificato o disponibile a continuare a lavorare senza una visione organica del partito nella Regione, di una politica regionale che sviluppi i maggiori punti del programma nazionale, di una base per poi sviluppare un’azione decentrata, localizzata sul territorio, ma comunque comune a tutte le otto organizzazioni provinciali.
      Problema FGCI: si dovrà ripensare la struttura con un irrimandabile corso di qualificazione quadri, una riogarnizzazione e ricompattazione di tutti i giovani iscritti, un aumento del tesseramento.
    1. L’ organizzazione provinciale di Cagliari deve porsi come obiettivo la creazione di una Federazione metropolitana creando sezioni (aiuto e finanziamento del Nazionale e degli eletti nelle istituzioni ) almeno nei paesi dove si è votato ed ottenuto consensi.
    1. Richiamo a “tutti gli eletti nelle istituzioni” o percepenti emolumenti in base a nomine di partito alle contribuzioni previste ed alla attuazione rigida dello statuto (oggi su 5 unità aventi queste caratteristiche si ha il solo versamento regolare dell’Assessore provinciale SE&O)).

Cagliari 29 maggio 2007