domenica 3 dicembre 2006

Libera informazione


Cose rare in Italia: i diritti umani

di Vincenzo A. Romano


Una grande battaglia è in corso nel mondo. Inesorabilmente, da ormai troppo tempo, riassistiamo ad un fenomeno agghiacciante di supremazia di pochi stati e pochi uomini.
Prevaricano diritti ormai acquisiti, già dal 1789 sino a pochi anni or sono, tentano di affermare un’egemonia integralista in campo politico, militare, religioso, economico che spinge verso la privazione dei fondamentali diritti miliardi di cittadini inermi in presenza dell’assalto di una ideologia egemone e dei suoi mentori. I patti, le Costituzioni degli stati sovrani, la stessa ONU vengono attaccati, distorti, reinterpretati in nome del liberismo sfrenato, dell’ integralismo religioso, del conservatorismo estremo che tentano di portare le popolazioni e gli stati a sudditanza sociale, economica, religiosa. La caduta del comunismo e dei socialismi, che costituivano l’unico baluardo alla bramosia di potenza e sopraffazione di pochi nei confronti del resto del mondo, ha aperto una regressione dei diritti di stati e persone a così bassi livelli da essere insopportabili e disumani. La forza delle armi e del ricatto economico, unite alla collusione e strapotere di pochi, sta distorcendo un mondo che dopo la seconda guerra mondiale si era aperto alla democrazia ed ai diritti universali ed universalmente riconosciuti. Da più parti, e non da oggi, si sente nuovamente bisogno di libertà e ci si batte, ancora una volta, per la riconquista dei molti diritti perduti. Perché vengono attaccati i principi costituzionali in nome di esigenze di sicurezza che solo in parte dipendono dal terrorismo integralista a sua volta spesso generato da atti di antica e recente sopraffazione. Si sta attentando, in Italia come in molti paesi, alla privatezza della persona, della famiglia, dell’immagine, dell’agire quotidiano, del muoversi all’interno del proprio paese in un artificiale clima di paura. Nel frattempo aziende nazionali e multinazionali si impinguano con la diffusione di apparati per la sicurezza sempre più sofisticati, costosi e per lo più inutili ed i fabbricanti di armamenti rapinano ancora maggior profitto. Con il senso di insicurezza, artatamente gonfiato ed opportunamente inculcato, si portano i cittadini ad accettare norme sempre più restrittive e cogenti mentre i governanti accrescono il loro potere sulle popolazioni disorientate e premono sui diritti del lavoro,della salute e delle libertà civili. La conoscenza ridiventa un pericolo e scuole, informazione e cultura vengono controllate, manomesse e asservite. La Costituzione e le leggi creano impaccio. Si tenta, allora, di depotenziare la prima e di cambiare le altre convergendo, di pari passo, all’ asservimento dei magistrati e degli organi giurisdizionali. Le nuove forze lavoro provenienti da paesi lontani vengono criminalizzate invece che organizzate, deluse, sopraffatte, scacciate in nome di un falso credo religioso o di una supremazia culturale; in effetti perché si ha paura, profonda, che possano divenire i protagoniste di una nuova rivoluzione. L’insicurezza del Potere e la spinta al Profitto confliggono con se stesse creando una situazione mondiale di sospetto, squilibrio, voglia di egemonia e terrore di distruzione. Infernale marchingegno sostenuto da una classe intellettuale, una volta liberista o marxista, ed ora catechizzata al credo che il mondo debba essere “democratico” e “capitalista” a costo di ficcarglielo in testa con le cannoniere; sono, purtroppo gli stessi decotti e riciclati maitres a penser che si affannano a tacciare la Costituzione repubblicana di vecchio e le leggi in favore del lavoro e dei diritti fondamentali di sorpassate.. Dopo la vituperata legge sulla procreazione assistita che ha fatto strame principalmente delle donne oggi si paventa il ritorno in parlamento di due ulteriori obbrobri che chiamano riformulazione dell’aborto e revisione costituzionale. Si tratta di un altro massiccio attacco ai diritti dei cittadini. Il lavoro, già distrutto nella sua sacrosanta sicurezza dalla legge 30, subisce dalla revisione un ulteriore attacco nelle sue componenti principali come l’assistenza: riformata, e la salute: parcellizzata. La scuola uscirà ulteriormente sconvolta, oltre che dalla legge Moratti, dall’ eccessiva regionalizzazione. Il rapporto economico interregionale diverrà competitivo, con le conseguenze connesse, per l’ assistenza sociale, per quella medica, per la scuola e gli asili; per le finanze non più perequate; per gli investimenti che saranno pilotati verso le regioni più ricche. Un federalismo rovesciato che sarà disumano perché chi è ricco lo diverrà ancora di più e chi è indifeso lo sarà maggiormente; i diritti non saranno uguali per tutti, ma chi più ha più avrà. Già oggi dopo appena quattro anni di politica liberista vediamo i segni premonitori (se non avverrà il cambiamento su cui contiamo) di quanta distruzione sociale e nel campo dei diritti incombe. Le donne ne sono il segno più evidente. In ossequio ad un credo religioso, per cui la sofferenza è un bene, se n’è violata la libertà alla maternità felice, ma si fanno tagli sulla scuola, sugli asili, sui nidi d’infanzia, che pure timidamente nascevano in qualche regione; gli ospedali sono colpiti dalla crisi economica che si abbatte, le case sempre più care, il cibo, i servizi tutti sempre più inavvicinabili. Non si può trarre conforto da figli precari o disoccupati, da scuole malfunzionanti, dal rincaro delle spese o dalle difficoltà a combinare il pranzo con la cena. Vecchi senza assistenza, servizi sociali assenti, forze dell’ordine inchiodate in caserme e commissariati per mancanza di mezzi; soldati catapultati in missioni di pace dove vige,però, il codice di guerra sono tutti il quadro desolante davanti ai nostri occhi. Questo sono i diritti in Italia, mentre l’integralismo religioso, economico e politico alimenta i nostri governanti ed i loro opinionisti giulivi.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Era ora di avere un nostro blog, complimenti
Maria

VAR ha detto...

Chi piange per i tiranni?

Marcello Veneziani rimpiange che non si sia versata una lacrima per la morte di Pinochet e ne chiede conto alla Democrazia occidentale. Guarda caso proprio a quella che dovrebbe esportare la “democrazia” che Pinochet aveva distrutto.

Vincenzo A. Romano

Abbiamo avuto un senso di sgomento, oltre che ripulsa, leggendo le argomentazioni che l’intellettuale Marcello Veneziani affida alla stampa il 12 dicembre 2006.
Sensazioni a pelle, forse, perché ci avevano educato ad altri valori. Qui non si tratta del tiranno che l’antica Grecia potenzialmente riconosceva come rappresentante dell’oligarchia estrema -ed infatti Dioniso allevava Archimede contro il barbaro romano-. Qui si tratta di del tiranno moderno, la degenerazione della democrazia e dello stato di diritto.
Fa specie che un sostenitore del law and order lamenti il legittimo senso di liberazione che, umanamente, ha percorso cittadini e cancellerie –non solo occidentali- per la scomparsa del dittatore. Perché questo fu Pinochet per un Cile che liberamente e democraticamente aveva scelto Allende quale suo rappresentante. Anche la Democrazia Cristiana cilena – allora molto vicina a quella italiana- aveva concordato che Allende fosse la soluzione.
Di cosa? Di un esperimento che la scuola economica statunitense si era riservata di testare in un paese di democrazia debole, neonata, ma di grandi possibilità economiche. La scuola americana, e sarebbe bene non dimenticarlo mai, dopo il nazionalismo del tiranno che accettava ma non restituiva, riprese gli stessi esperimenti economici in Argentina con le conseguenze che sono note.
Ma torniamo alle tesi di Veneziani.
Sebbene tiranno, Pinochet fu il salvatore del Cile. Perché è vero che fu dittatore –e fra i più feroci a stare dalle prove di sevizie, sparizioni, uccisioni, ricatti ed uccisioni dopo torture estreme- ma intervenne per salvare un paese in ginocchio, percorso da bande armate, in balia del comunismo.
Il comunismo, allora per gli USA di Pinochet come oggi per i Veneziani di Guzzanti_Scaramella è la chiave di volta di ogni giustificazione a qualunque bruttura.
La situazione reale del Cile –col secondo governo Allende- era tutt’altra cosa.
Vi operavano tanto i partiti della Sinistra (comunisti, socialisti, socialisti estremi) e la Democrazia Cristiana . Democristiani che avevano confidenza -con quelli italiani- superiore a quella che Allende non avesse coll’URSS (casomai le frange estremiste stavano fra i socialisti).
Ma cosa dimentica Veneziani? O meglio come Veneziani opera una revisione della storia cilena? Innanzitutto con la stessa giustificazione, concettuale, con cui i repubblichini sono uguali ai resistenti antinazisti ed antifascisti.
Pinochet tolse la libertà, ma assicurò la pace sociale. Strana ed assurda giustificazione, peraltro non vera, per cui i diritti fondamentali sono barattabili con un tozzo di pane o con…una tonnellata di rame.
Perché di questo si tratta.
A parte il fatto che Veneziani gioca sporco anche sul piano politico rivoluzionario, ma su questo torneremo, esaminiamo cosa successe allora in Cile che sia diverso da quanto accadeva in Europa nello stesso periodo o quanto era accaduto nella stessa Italia con la nazionalizzazione della energia elettrica. Allende allora, come ora Chàvez e gli altri eletti in America del sud , voleva risollevare il proprio paese dal giogo di sfruttamento medievale che alcune multinazionali avevano imposto ai poveri dell’America del Sud. Allora un piccolo tentativo sul rame, oggi le grandi nazionalizzazioni del petrolio. Tupamaros, montoneros e senderisti che c’entrano col Cile della nazionalizzazione? E’ un miscuglio infame di richiami perché emozionale e slegato dalle tre realtà in cui nacquero quei movimenti. Sendero Luminoso inoltre andò al governo e ci è tornato a furor di popolo ed il Che liberò Cuba dalla mafia e dalla corruzione.
Ma a destra questi argomenti sono bestemmie; e mentre in Italia, patria della “incertezza della pena” essa auspica “la prigione per 21 spinelli” esecra –contestualmente- i paesi dove truffatori e riciclatori vanno in galera (certa) non diversamente di un Al Capone inquisito e condannato, nei decantati USA, con leggi e provvedimenti analoghi.
Per questo azzardiamo l’ipotesi di comportamento bipolare (nel senso di schizofrenico, non politico) per cui si vorrebbe piangere il tiranno sanguinario ed esecrare l’uomo normale.
Che Friedman, la politica di Reagan e anche di Kissinger, per non parlare delle manovre di CIA e AT&T -così non si scorda alcuno-, abbiano salvato il Cile o l’America del Sud è poi una bugia che sta ancor oggi davanti agli occhi di decine di migliaia di risparmiatori italiani illusi dal monetarismo che ha distrutto anche l’Argentina e la sua economia.
Che poi Pinochet sia stato cacciato da libere elezioni non è un suo merito, come vorrebbe farci credere Veneziani, ma la conseguenza del suo sanguinario governo una volta maturati i tempi del tramonto di quella dittatura.
Che poi lo stadio “dei desparecidos” cileni fosse un poco meno infernale del “Garage Olimpio” della dittatura argentina con molta riluttanza potremmo anche discuterlo, ma che siano rientrati –nel dopo Pinochet- molti più cileni di quanti ne fossero “andati via” è una bestemmia perché, di solito, i morti non tornano.
Non vorremmo che l’impunità che l’occidente ha concesso a Pinochet, come d’altro canto ha fatto il Cile che paventava –in caso di condanna- la possibilità del ritorno di una ulteriore sanguinosa guerra civile (terrore di ogni debole democrazia), facesse davvero credere che si debba piangere Pinochet.
Né il Dio degli ebrei né i grandi tragedi greci piangevano per i tiranni e nemmeno, e per fortuna, la civiltà occidentale nata dalle grandi rivoluzioni del XVIII secolo.
A quando, di grazia, un pianto per il Terzo Reich?